Vini senza solfiti! Si, ma come?

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Il tema scottante in questo periodo è l’utilizzo o meno dei solfiti sul vino. Per i più distratti, ricordiamo che l’ anidride solforosa, è il conservante per eccellenza del vino e di molti altri alimenti confezionati. Viene utilizzato fin dagli anni sessanta come antiossidante, antifermentativo e conservante appunto. Dopo l’alcool è il principale responsabile dell’emicrania e di altri effetti collaterali a lungo termine.
Oggi, grazie all’esperienza, all’innovazione ed alla riscoperta di pratiche antiche, alcuni produttori riescono a diminuirne o addirittura eliminarne l’uso.
Questo porta ad una maggior salubrità ed al contempo ad una maggior personalità del vino ottenuto.

Oltre ai produttori di VinNatur, molti altri perseguono quest’obbiettivo, percorrendo però strade diverse.
Esistono alcuni protocolli di produzione creati da specifici centri di ricerca in enologia i quali stanno producendo vini senza solfiti, ma con qualche trucchetto in più.
Il punto focale è proprio questo. Va bene eliminare l’uso dei solfiti, per sostituirli con altri prodotti?

Ad esempio, “Free Wine” è un metodo brevettato per eliminare i solfiti dalla produzione del vino, tramite l’uso massiccio della tecnologia e di preparati (biologici o meno) che aumentano il potere antiossidante del vino stesso.
Leggendo il sito del gruppo non troviamo informazioni dettagliate in merito al metodo utilizzato, ma attraverso informazioni aggiuntive, possiamo riassumerne i punti cardine:

  • aggiunta di lieviti e nutrimento lieviti, appositamente selezionati per fermentare senza produrre sostanze secondarie potenzialmente dannose per la composizione chimica del vino
  • aggiunta di batteri lattici che assicurino una fermentazione malolattica standard ed in tempi prestabiliti, trascurando una maturazione autonoma e spontanea del vino
  • aggiunta di estratti fenolici (di cui non sappiamo l’origine) per aumentare la conservabilità
  • trattamenti con gas inerti (azoto) e micro filtrazioni per evitare ossidazioni ed evoluzioni nel tempo.

Bene! Noi siamo certi che la salubrità del vino sia garantita al 100% (o quasi) , ma cosa dire della sostenibilità ambientale, della salvaguardia della tipicità ed unicità del vino?
Non siamo per nulla convinti che utilizzare lieviti, enzimi, batteri lattici e quant’altro, possa mantenere intatte le caratteristiche dell’uva e del terreno.

Ben vengano le soluzioni facili per emergere nel mercato con prodotti migliori, ma dobbiamo far attenzione alle conseguenze. Focalizzare troppo la questione sui “solfiti nel vino” porta l’industria enologica ed escogitare nuove scorciatoie per raggiungere l’obbiettivo “zero solfiti” con poca salvaguardia per il consumatore.
Voi cosa ne pensate?


12 risposte a “Vini senza solfiti! Si, ma come?

  1. Premesso che i solfiti sono sempre presenti nel vino come metabolita di scarto dei lieviti e che, di conseguenza il vino senza solfiti non esiste in natura, vale l’equazione più semplice.
    Più l’uva è sana e più le condizioni della sua trasformazione in mosto e vino sono controllate e rese idonee e meno solfiti servono.
    Nella mia esperienza ho potuto sperimentare da qualche anno che utilizzando uve selezionate perfette e utilizzando i lieviti indigeni in un ambiente favorevole, controllando le temperature e favorendo l’estrazione di elementi coadiuvanti della conservazione del vino presenti naturalmente nell’epitelio dell’acino, SI, si possono ridurre fortemente i solfiti di sintesi aggiunti, in alcuni casi, addirittura eliminarli.
    In enologia non esiste una verità, ciò che funziona in una cantina in altri fa danni e viceversa.
    Ciascun vignaiolo, con la sua esperienza e con la continua sperimentazione, attraverso un massiccio impiego del buon senso, trova certamente la strada migliore per ottenere i suoi vini nella maniera più semplice e naturale possibile.
    Ciao,
    Paolo

  2. i solfiti si impiegano nel vino per due funzioni: antisettica, per contrastare microrganismi che possono alterare il prodotto, e antiossidante. In entrambi i casi quindi lo scopo è la prevenzione di difetti organolettici. In verità la parola difetto non è del tutto corretta, perché letteralmente indica una mancanza, mentre le deviazioni microbiologiche e ossidative dei vini sono, al contrario, qualcosa che non dovrebbe esserci e invece c’è. A prescindere dal fatto che possono esserci persone che apprezzano anche queste “deviazioni” (de gustibus …) esse non hanno nulla a che vedere con la tipicità e il terroir, anzi sono “anti-terroir” in assoluto perché tendono a omologare i vini, sovrastando ogni altra sfumatura. Il problema sanitario forse è sopravvalutato, di certo esiste per soggetti sensibili e per alti dosaggi, comunque da molti anni si sperimentano tecniche volte a ridurre o eliminare del tutto i solfiti. Non esiste un’unica ricetta, ci sono linee diverse che fanno ricorso a maggiori o minori input tecnologici. Il punto di partenza è sempre quello di poter disporre di uve sane, dove la presenza di agenti inquinanti è bassa, e in tutti i casi occorre evitare qualunque processo o sostanza che possa essere minimamente pericolosa per la salute, perché altrimenti tanto varrebbe tenersi i solfiti. In questo post si pone la questione della “salvaguardia della tipicità ed unicità del vino. Non siamo per nulla convinti che utilizzare lieviti, enzimi, batteri lattici e quant’altro, possa mantenere intatte le caratteristiche dell’uva e del terreno”. D’altra parte un vino “deviato” non è né tipico, né unico, e tanto meno rispetta le caratteristiche dell’uva. L’espressione “maturazione autonoma e naturale del vino” mi lascia perplesso: il vino non esiste in natura, e non vive di vita propria. Si può fare un ottimo vino tipico e rispondente al terroir senza solfiti e senza nessuna tecnologia? E lo si può fare in modo ragionevolmente ripetibile, che non vuol dire fare un vino sempre uguale ma comunque ottimo tutti gli anni? Ne dubito. E, nel dubbio, non vedo validi motivi per respingere alcuni semplici supporti tecnologici, come il controllo delle temperature e l’uso dei gas inerti (che in tutta l’industria alimentare hanno decisamente migliorato la qualità dei cibi e consentito di ridurre i conservanti). Più complesso il discorso su “microrganismi e terroir”. Ne parla Tony Scott sul prossimo “Millevigne”. Apprezzo molto l’idea di “aggiungere il meno possibile”: per contro non vedo validi motivi per enfatizzare il ruolo del caso, con il rischio di produrre un vino invendibile. La tecnologia offre alcune opportunità, ognuno sceglie quali utilizzare in funzione dell’obiettivo, delle caratteristiche dell’uva, delle sue conoscenze e capacità, ed anche delle sue convinzioni ideologiche, mentre è giusto continuare la ricerca per fare sempre meglio nel rispetto dell’ambiente e della salute. Del resto, se fossimo pregiudizialmente “antitecnologici” perché staremmo a discutere su un blog invece che sotto un albero?

  3. La cosa che mi spaventa della metodologica Free Wine, è che se chiedi ai loro venditori quali sono gli ingredienti degli antiossidanti che ti vorrebbero fare usare al posto dell’anidrite solforosa, non te lo possono rivelare per ragioni di brevetto.

    E quindi? Chi garantisce che non ci sia altro tipo di chimica?

  4. Visto Che il metabilsolfito da il mal di testa come l’alcool ,la prossima Mossa Sara’ di eliminare l’alcool dal vino??
    E’ la misura Che determina il male . Le sostanze nocive sono in Molti casi prodotti naturali personalmente condivido a pieno sia la risposta di Maurizio Che quello di Paolo .

  5. Cari tutti, la tecnologia Freewine è totalmente trasparente e disponibile, ma limitatamente a coloro che vi si avvicinano con sereno approccio scientifico.
    Chi invece arriva con fare inquisitorio, evidentemente carico di pregiudizi e magari con fini strumentali, non si deve stupire se non riceve dettagliate informazioni. E maggiormente se ne deve fare una ragione, chi d’abitudine lancia accuse ed anatemi all’altrui indirizzo, piuttosto che esporre le proprie qualità. Per chi ha a cuore la salute del consumatore finale, Freewine rappresenta una soluzione certa e ripetibile, rispettosa del territorio ma anche flessibile a criteri di stile. Perché bere vino non sia mai un sacrificio…

  6. Ciao Marco, trovo quantomeno “particolare” additare come carico di pregiudizi con l’aggravante del fare inquisitorio che si pone domande( più che legittime ) su questa o quella pratica enologica.Trovo invece profondamente sbagliata la scelta di non fornire informazioni dettagliate proprio a coloro che, con le loro domande, cercano di meglio comprendere la “tecnologia” ( cos’ la chiami tu) di Freewine. Mi sembra quantomeno infantile non accettare un contraddittorio, contraddittorio che può vedere gli uni e gli altri su posizioni diverse, bada non giuste o sbagliate semplicemente diverse. Credo che la salute del prossimo stia a cuore a tutti, compresi quie produttori che, nel rispetto delle normative, aggiungono solfiti nel vino sino ai livelli massimi previsti dalla legge.Una riflessione: quante certezze di ieri sono state sconfessate nei fatti nel tempo. ciao

  7. Caro Marco,
    tu dici: “la tecnologia Freewine è totalmente trasparente e disponibile, ma limitatamente a coloro che vi si avvicinano con sereno approccio scientifico.”
    Scusa, ma allora delle due l’una: o totalmente o limitatamente. Purtroppo questo genere di risposta non ha alcunché di trasparente, mi tocca evidenziare, in quanto la trasparenza è per tutti, o non è. E poi: chi lo decide qual è il “sereno approccio scientifico”? Voi? Rimanendo in buonafede, è semplicemente nonsense.

  8. Gentili signori
    Esiste da tempo un metodo di vinificazione che permette di ottere vini eccellenti senza aggiunta di SO2 e senza il benché minimo intervento tecnologico
    Noi piemontesi l abbiamo imparato dai nostri cugini d oltralpe

  9. salve a tutti, sono un piccolo produttore della liguria io da sempre faccio un vino naturale o quasi, non uso lieviti aggiunti in fermentazione, i solfiti ho provato negli ultimi due anni a non usarli, faccio il primo travaso all’aria e i sucessivi no, non filtro il vino (produco vino rosso),il mio vino viene consumato all’80% nel mio agriturismo e viene conservato in botti d’acciaio, imbottigliato man mano che serve, imbottiglio lotti di circa 100 bottiglie per volta, la cosa che mi riesce difficile è innescare la fermentazione malolattica, sono ricorso a soluzini chimiche perchè in altri metodi,ad esempio scaldando il vino non mi è riuscito di farla innescare naturalmente, evidentemente devo applicarmi di piu’in questa operazione,per me produrre un vino naturale non è cosa difficilissima, certo importantissimo è la buona conduzuione del vigneto secondo metodi biologici-biodinamici,per produrre buona uva bisogna avere anche annate con tempo favorevole,poi il vino naturale vuole anche un consumatore preparato per conoscenza del vino capace di capire quello che beve,a differenza di molti che magari anno frequentato anche un corso somelie, ma hanno un palato omologato a vini senz’altro buoni, ma molto simili tra loro.

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